Kafala ha un doppio significato: da un lato, significa “garantire” (daman), e riguarda una garanzia per la concessione di un prestito. Dall’altro, significa “prendersi cura di” (kafl), e indica il comportamento da adottare quando si interagisce con un soggetto non indipendente o autonomo, come (ad esempio) un minore. Il termine risale alla giurisprudenza islamica in materia tutela nei confronti degli orfani. Ma questo era il passato. Oggi questa parola è stata “riformata” nei Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar) per regolamentare il trattamento dei lavoratori stranieri – all’inizio nella lavorazione delle perle, e poi, via via, in tutto il sistema industriale.
Noi occidentali siamo stati costretti ad imparare la parola Kafala in connessione con i prossimi Campionati Mondiali di Calcio del Qatar 2022, non ancora giocati e già travolti da molti scandali, scoppiati non solo a causa dei sospetti di corruzione, ma soprattutto in seguito alla scoperta di gravissime violazioni dei diritti umani durante la costruzione degli stadi: ci lavorano e muoiono migliaia e migliaia di operai, provenienti da diversi Paesi e ridotti allo stremo per le condizioni disumane nelle quali sono costretti a vivere.